"O 'R0SE DU UERRI'ERE"
L'Assessorato alla Cultura del Comune di Statte in collaborazione con il Teatro Le Forche ,nell'ambito del progetto "Janet Ross. Percorsi culturali nel Parco delle Gravine" ,
in attuazione del "Programma delle Attività Culturali per il Triennio 2007-2009" D.G.R. n. 1545/06 della REGIONE PUGLIA
PRESENTANO
“ò’Ròse du Uerrìere”
conFranco Orlando
Traduzione in dialetto storico di Franco Orlando de “La rosa del guerriero” di Rocco D’Onghia Liberamente ispirato alla “Anabasi” di Senofonte
regia Annalisa Santambrogio
Scheda
La regia: Annalisa Santambrogio
Si diploma in regia alla scuola del “Piccolo Teatro” di Milano nel 1986. Partecipa, come attrice, a “Scuola elementare del teatro” con Tadeusz Kantor. Compie il tirocinio al Teatro della Scala di Milano nella stagione 1985-86. Cura la regia di spettacoli, per adulti e ragazzi. Si occupa di progetti teatrali per il recupero psico-sociale di adolescenti a rischio, ragazzi con handicap e di progetti di integrazione bambini-anziani.
L’attore: Francesco Orlando
Nato in provincia di Taranto, ha cominciato a recitare con il Teatro Kismet di Bari. Trasferitosi a Milano, si è diplomato attore alla scuola del “Piccolo Teatro” nel 1986.
Ha lavorato nel campo del teatro di figura con il Ravenna Teatro-Drammatico Vegetale, col Teatro del Buratto di Milano, con la Compagnia di Attori e Marionette di Gianni e Cosetta Colla. Nel teatro di prosa ha lavorato con importanti compagnie e con i registi: Tadeusz Kantor, Massimo Castri, Carlo Formigoni, Franco Branciaroli, Nanni Garella, Relda Ridoni, Giampiero Solari, Vito Molinari. Ultimamente, con Annalisa Santambrogio, si è impegnato in progetti di drammaturgìa contemporanea, curati dall’autore di origini tarantine Rocco D’onghia. E’ un apprezzato doppiatore. L’autore Rocco D’Onghia
E’ nato a Taranto nel 1956. Vive a Milano dal 1993. Prima di allora si occupa di teatro come attore e regista nella città natale.Nel 1983 fonda l’associazione teatrale “Teatro Studio Prometeo” ed opera essenzialmente nel rione Tamburi e con l’ARCI di Statte(Ta), in realtà periferiche e popolari, dove tiene laboratori finalizzati alla messa in scena su Brecht, Beckett, La Commedia dell’Arte e Pirandello.
Dal 1989 si occupa professionalmente di scrittura teatrale.
I suoi testi sono pubblicati da: Collana Ricordi Teatro, Circè Théatre ( Francia), Hystrio, CIESSEPI Edizioni,CTL di Lousanne (Svizzera).
Lo spettacolo: note di regia
L’oplita
Non muore mai. Ogni volta speri che sia l’ultima, dopo tanto dolore, tanta morte, tanta violenza. E invece no, eccolo lì, come il vampiro alla fine del film, riapre gli occhi e tu capisci che tutto ricomincerà, daccapo, ancora, sempre.
“L’umanità è destinata a non imparar nulla dalla storia e a ripetere sempre, ad ogni generazione, gli stessi errori, le identiche ingiustizie e bestialità.”(Così dice lo storico Tucidide secondo Indro Montanelli nel suo “Storia dei Greci”).
E così eccocelo qui, sempre tra i piedi “l’oplita pazzo” che riprende vita nel monologo di Rocco D’Onghia.
Ma.. chi è?E’ uno che fa la guerra; ogni tanto comanda degli uomini, come un sergente o un capitano. Le cose non gli sono andate bene, si aspettava trionfi, ricchezze, privilegi e invece lo troviamo sporco, disperato, morto.
Ricomincia a narrare la sua vita: chissà quante volte l’ha già fatto, come se una molla di dolore scattasse nel suo cervello e nel suo cuore.
Perché il dialetto?
Senofonte era nato ad Atene, ma amava Sparta per affinità elettive, perché realizzava i suoi ideali di società forte, virtuosa, ben organizzata, orgogliosa, solida.
Taranto e l’immediato circondario era colonia spartana. Nel tarantino si parlava il dialetto dorico, quello di Sparta. L’influenza della cultura spartana in questo territorio è stata profonda: parole, gesti, oggetti, usanze sono arrivate a noi, come galleggiando sul tempo.
Questo guerriero spartano di tutti i tempi non può che parlare questo dialetto, questa lingua dura e asciutta che gli corazza i pensieri.
La traduzione di Francesco Orlando, accurata e profonda, ricostruisce un dialetto storico; fa uso di vocaboli che solo negli ultimi decenni vanno scomparendo, ma che fino a ieri hanno mantenuto quel legame tenace che li collegava alla cultura lacedemone, passando per le altre culture che in questa zona si sono incrociate.